Il Settecento

Cos'è

Quando nel 1706 gli Spagnoli furono sconfitti militarmente, lasciarono agli Austriaci un territorio impoverito ed umiliato da una politica ottusa sia sotto il profilo amministrativo sia sotto quello economico e produttivo.
Gli Asburgo d’Austria diedero dunque l’avvio a quel rinnovamento totale che, con la riorganizzazione della rete viaria, la limitazione dei privilegi, il costante incoraggiamento delle iniziative economiche e culturali, fece della Lombardia la perla dell’lmpero. Le riforme di Maria Teresa e di Giuseppe II non mutarono comunque di molto la vita dei contadini, i quali, nonostante i nuovi sistemi di lavorazione dei terreni e la costruzione di locali d’abitazione più ampi ed ariosi finalizzati all’allevamento dei bachi da seta, dovevano fare sempre i conti con la fame, la povertà e le malattie.

Dallo studio degli stati d’anime del 1708 risulta che Lainate contava 1326 abitanti contro i 1300 del 1596: dopo più di un secolo le dimensioni del paese erano quindi immutate, anche se Lainate continuava ad essere anagraficamente inferiore solo a Saronno, nonostante la pestilenza del 1576 e l’incremento demografico dovuto alla vita della Villa nel XVII secolo. Ma ciò che più ci è utile, per scoprire la Lainate di allora, è l’esame di quel grande lavoro di conoscenza e riproduzione del territorio che fu il famoso Catasto Teresiano.

Un’apposita Giunta istituita da Carlo VI nel 1718 aveva stabilito che, per ogni comune del ducato di Milano, alcuni incaricati imperiali raccogliessero informazioni precise sul posto e disegnassero delle mappe topografiche in scala 1/2000, nelle quali fossero registrate la forma, le misure, la proprietà e la destinazione di ogni appezzamento. II tutto sarebbe servito per stabilire il valore dei beni e determinarne la rendita netta, al fine di quella riforma fiscale che, proprio perchè fondata su una attenta e diretta misurazione oltre che sulle valutazioni tanto dei locali quanto di periti pubblici, e considerata la più perfetta del sec. XVIII, secolo in cui la terra continuava a essere per la stragrande maggioranza degli abitanti l’unica fonte di sussistenza. Apprendiamo dunque che il territorio di Lainate, che si estendeva per un totale di 16471 pertiche (il Comune di Barbaiana aveva una mappa a sè stante), era per la maggior parte posseduto da pochi grandi proprietari, laici o enti ecclesiastici elencati ai margini delle tavole, per ognuno dei quali sappiamo quindi quanti e quali terreni possedeva.

Di ogni appezzamento conosciamo anche la qualità delle colture. Molto comune era il cosiddetto “aratorio”, cioè il terreno arabile, atto ad essere coltivato in genere a cereali. Numerosissime pertiche di aratorio erano inoltre “avitate” (o “vitate”), cioè adibite insieme alla coltivazione della vite e all’aratura, o “amoronate” (o “con moroni”), sfruttate cioè oltre che per la semina anche per la coltivazione dei gelsi. I gelsi, chiamati “moroni” già all’epoca in cui Ludovico il Moro li aveva introdotti nel ducato di Milano, erano infatti fondamentali per l’allevamento dei bachi da seta che nel Settecento andava sempre più diffondendosi nelle nostre campagne.

Le pertiche lasciate a prato non erano molte ed erano definite “liscose”, a significare che in questi terreni cresceva la “lisca”, una sorta di erba d’alto fusto tipica delle zone con abbondante acqua.
I terreni destinati al pascolo coprivano all’incirca 400 pertiche descritte sotto la voce “pascolo zerbido” a sottolineare la caratteristica di terreni duri e incolti, non dissodati (in dialetto milanese “serb” = acerbo). Per altri terreni compare poi la voce “ronco”, un termine tipicamente lombardo (dial. “ronch”) per indicare un campo dissodato.

Le proprietà ecclesiastiche erano notevoli.
Appare fra i maggiori possidenti ecclesiastici il “Santuario della Madonna delle Grazie di Lainate”. Altri proprietari ecclesiastici erano: “S. Antonio Abate”, la “parrocchiale di Lainate” la “Scuola del SS. Sacramento di Lainate”, la “Scuola dei Soci del nome di Dio di Lainate”, la Scuola del SS. Rosario di Lainate, la chiesa della “Cassina del Pè” ( = S. Ilario di Nerviano), la “Scuola Angeli Custodi di Nerviano”, L’Oratorio dell’Annunciazione di Nerviano, la “Beata Vergine del Rosario di Caronno”. Quasi tutte le proprietà ecclesiastiche, tranne le pertiche di appartenenza alle diverse Scuole o Confraternite, erano certamente di antica origine a partire da quelle registrate nell’867 per conto del Monastero di S. Ambrogio.

Veniamo ora ai proprietari laici.
Il principale possidente di Lainate era il conte “Don Ginglio Visconti” che appare in tutta la sua potenza al foglio XIII, dove è accatastata la famosa Villa con attorno numerosissimi orti e le terre descritte “a giardino” che dovevano servire per abbellire questa residenza estiva, o meglio di campagna, del casato milanese.

Le proprietà lainatesi del Conte comprendevano circa 9000 pertiche di terreno, di cui più della metà erano destinate alla semina, mentre le restanti erano principalmente piantate a vite e a gelsi o coperte da boschi da taglio. Erano inoltre di sua proprietà “un torchio di olio, una osteria, un prestino di pane bianco esente dai dazi per la cottura, una macelleria”, di cui purtroppo non viene indicata l’esatta ubicazione, oltre che una fornace registrata al foglio XXIII in aperta campagna.
Altri importanti possidenti erano un tale conte Borri ed una certa famiglia Bazzi che possedevano un sostanzioso complesso di pertiche.

La Comunità di Lainate era ancora proprietaria di un appezzamento ad orto, residuo di quei beni comuni che nel medioevo dovevano essere di gran lunga maggiori e servivano alla popolazione povera, che non possedeva alcun terreno, per la raccolta di legna, bacche, ghiande e per il pascolo.
Quattro soltanto sono le cascine registrate come tali: due appaiono ai fogli VIII e XIII come appartenenti al Visconti; una, “detta la Guenzada”, e segnata al foglio XVII come proprieta del marchese Lucino e l’ultima, al foglio XXII, risulta tra i possedimenti del conte Ferdinando Castillione.

Se la catastazione aveva come scopo l’accertamento dei beni per la tassazione degli stessi, L’indagine doveva essere completata da quello dei beni mobili.
È forse a questo scopo che nel 1734 per l’inventario delle rendite del Conte Giulio Visconti Borromeo vengono convocati alla presenza di notai alcuni testimoni, fra cui il Console Baldassare Cozzo di professione “legnamaro” e i “massari” Carlo Antonio Grasso e Gio: Antonio Borrone.
Dalle loro dichiarazioni sappiamo che il fattore del Conte era un tale Carlo Gerolamo Scappa; che tra i suoi massari figuravano Vittore Rastelli, Pietro Bazzo, Carlo Ambrogio Pedrazzo, Pietro Boniardi, Gio: Batta Bertololo, Giuseppe Maiocco, Gio: Batta Terravazzo, Matteo Oliva, Ambrogio Cattaneo, Giulio Grassi, Giuseppe Terravazzo, Nicolo Galagiola, Carlo Maria Frigerio, Antonio Perfetta e Antonio Borrone; che il Cancelliere della Comunità era Carlo Maria Maggienta e che i Sindaci erano Gio: Antonio Chignone, Pietro Moneta e Gio: Batta Pagano.
Anche se il Cozzo dichiarò di non sapere dire chi fosse il feudatario del luogo, dalla lettura del documento si intuisce un sistema di rapporti di stampo feudale, tanto che i fitti venivano pagati in natura con frumento, avena, uva, capponi, polli, uova o con giornate di lavoro secondo l’antico istituto della corvèe.

È interessante notare come i numeri di registrazione del Catasto Teresiano compaiano negli atti successivi al 1721.
È quello che accade ad esempio per un “istrumento d’acquisto fatto di pertiche 42 sotto li numeri in mappa del territorio di Lainate cioè n. 260, 261, 262, 264, 372: +377 parte de beni di… della Beata Vergine di suddetto luogo e acquistate dall’Aquilino Baroggi a nome di persona da dichiararsi, che poi ha dichiarato la persona dell’Ill.mo Conte Antonio Borri e tali beni sono stati venduti alla pubblica asta rogato dal dottore Andrea Beloti notaio di Milano il giorno 13 ottobre 1778”.

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Ultimo aggiornamento: 17/07/2023, 12:54

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