L′età Napoleonica

Cos'è

L’epopea napoleonica, che costituì per la Lombardia solo una parentesi nel lungo dominio austriaco, vide la borghesia italiana misurarsi con i problemi concreti di governo e partecipare direttamente alla vita pubblica. Non abbiamo notizie dirette e complete riguardo alla Lainate di allora, ma possiamo immaginare un certo fervore politico nei notabili del luogo e una generale curiosità per la costruzione della strada statale del Sempione che passa a pochi chilometri.

Quando poi Napoleone assunse il titolo di re d’Italia nominò vicerè il figliastro Eugenio di Beauharnais, che risulta tra i visitatori illustri della Villa.

Risale a questi anni l’espletamento delle disposizioni testamentarie del religioso Giovan Battista Brioschi che, con le sue ultime volontà rogate il 1.6.1799 dal notaio Federico Pozzi di Milano, aveva istituito sei doti annue di L. 50 milanesi cadauna “da distribuirsi dai parroci e fabbricieri a sei povere figlie del Comune”. Il legato ebbe inizio il 22 gennaio 1814 grazie a un capitale impiegato presso il conte Borri: casa Borri versò annualmente L. 300 fino al 1843 quando gli eredi restituirono il capitale, che venne impiegato per l’acquisto della cartella n° 73888 dell’Imperiale Regio Monte dello Stato, che ridusse ogni singola dote a lire austriache 39. La storia del legato ricalca la storia di Milano di quegli anni in quanto le doti vengono, in regime napoleonico, consegnate in lire milanesi, poi in lire austriache a seguito del ritorno degli Austriaci in Lombardia e finalmente in lire italiane a partire dal 1860.
Le prime a usufruire del lascito furono, nel 1815, Teresa Pessina, Giovanna Cozzi, Anastasia della Porta e Rosa Maria Morlacchi: solo quattro e non sei le doti del primo anno perché parte del denaro fu usato per coprire le spese di gestione. In seguito, quando le ragazze che si sposavano e avevano diritto alla dote furono meno di sei, il denaro in esubero venne assegnato l’anno successivo.
Le registrazioni continuarono anno per anno fino al 1891, quando ad usufruirne furono Camilla Cogliati, Virginia Giussani, Camilla Parini, Virginia Cribiu e Emilia Cribiu: infatti re Umberto I il 27 novembre 1891 decretò la concentrazione delle opere pie nella Congregazione di Carità a seguito della Legge n ° 6972 del 17.7.1890.
Per dovere di cronaca dobbiamo dire che in alcuni anni (1821, 1826, 1831, 1857 e 1883) il legato venne consegnato per intero come dote ad alcune eredi del testatore: come si saranno comportate in quelle occasioni le ragazze che potevano aspirare al lascito? Decidevano di rimandare di un anno il matrimonio pur di poter usufruire della dote Brioschi o preferivano comunque sposarsi anche senza quei denari nonostante la povertà?

Ai poveri di Lainate pensò anche l’abate Giuseppe Casati, che col suo ultimo testamento del 1813 destinò la case di famiglia in Passirana al ricovero gratuito, alla cure e al mantenimento degli infermi poveri dei comuni di Lainate, con le frazioni, e di Rho, solo per la frazione di Terrazzano.
Quella che sarebbe diventata l’Opera Pia “Ospedale Casati” per disposizione testamentaria fu posta sotto la protezione dei Litta e amministrata da tre persone da scegliersi “fra gli estimati o parroci dei nominati luoghi”.

II fervore rivoluzionario del Risorgimento, che aveva coinvolto l’alta borghesia e i nobili italiani, portò il duca Antonio Litta e il fratello Giulio a partecipare attivamente alle Cinque Giornate di Milano e ad offrire in occasione della Battaglia di Magenta del 1859 i loro vasti palazzi, fra cui quello di Lainate, per il ricovero dei feriti: tanto che ne ebbero il ringraziamento del Cavour e che proprio a Lainate sostò il re Vittorio Emanuele II la notte precedente il suo ingresso in Milano al fianco di Napoleone III per la vittoria riportata a Magenta.

A questo proposito merita di essere sottolineato anche l’episodio riportato dal “Gazzettino Padano” del 13-3-1963 durante la rubrica “Cento anni fa”: “A Milano il 13 marzo 1863, il duca Antonio Litta Visconti Arese si impegnava a corrispondere 100 lire annue, vita natural durante, ai suoi concittadini lainatesi che, a partire dal 1863, militando nell’esercito, fossero stati insigniti di una medaglia al valor militare. Il primo a ricevere il premio fu il bersagliere Antonio Clerici, per il quale il patrizio milanese fece però un’eccezione, essendosi egli guadagnato la decorazione prima della data fissata e più precisamente nell’assedio di Gaeta”.
Comunque l’avversione contro il dominio austriaco non si spense tanto facilmente neppure ad unificazione avvenuta, se nel 1895, in occasione della nomina a deputato per il collegio di Rho del barone Giuseppe Weil Weiss, i lainatesi protestarono ritenendo ancora un insulto il titolo di “Croati” apparso su un manifesto dove si leggeva “TI Briganta Taliana dover votar nostro collega Swai – I Croati di Lainate -“.

Gli ospedali a cui ricorrevano i Lainatesi erano quello di Passirana, di cui abbiamo già parlato, e quello Maggiore di Milano. È curioso e interessante esaminare le disposizioni di servizio con cui il Comune verso il 1860 impartiva l’incarico del trasporto, con carro a cavalli, dei malati indigenti, che venivano citati anche con tanto di soprannome nei registri comunali. Vi si trovano così pittoreschi “Piatee”, “naggia”, “Sciattino”, “Mazetta”, “Calcatura”, “ratt”, “gagieta”, “pipa”, “il grancia”, soprannomi che in parte ancora troviamo tra i Lainatesi di oggi. Solo vent’anni dopo il Comune provvederà all’acquisto di un carro d’ambulanza e obbligherà il medico condotto a disporre di un cavallo.

Secondo quanto testimoniavano nel 1875 i “più vecchi del Comune”, risale al tempo dell’antica dominazione austriaca precedente al Primo Impero Napoleonico il legato disposto dal militare Achille Alessio Alessandro Venini per la distribuzione di sale da cucina, per annue L. 26,40, a famiglie indigenti di Lainate.
Quale motivo spinse quest’uomo ad elargire tale lascito e proprio a favore dei Lainatesi? Era forse stato da loro assistito o ospitato perché ferito, o aveva solo avuto modo di conoscere il luogo e di affezionarvisi? Non risulta infatti che abitasse nel nostro paese. E comunque commovente l’esame delle croci con cui i beneficiati siglavano di aver ricevuto il sale: mani incerte e tremolanti, non avvezze a usare penna e inchiostro, rivelano l’analfabetismo di chi doveva anche fare i conti con una miseria, per fortune, quasi inconcepibile oggi.

Più dettagliate sono le notizie che si possono reperire sulla vita della nostra comunità a partire dal 6.10.1876, data a cui risale il primo dei verbali del Consiglio Comunale a noi pervenuti.
L’Unità era ormai una realtà e il Paese era stato diviso amministrativamente in Provincie a loro volta suddivise in Comuni, i cui Consigli Comunali, pur essendo elettivi, furono presieduti in un primo momento da Sindaci nominati direttamente dal Re. Le elezioni erano ben lontane dall’essere a suffragio universale e poche erano le persone con diritto di voto. Sindaco di Lainate era nel 1876 1’ing. Luigi Meraviglia e gli elettori per le amministrative del 1878 furono solo 122, e per le politiche del 1880 solo 25 su 4322 abitanti, per diventare ben 597 nelle politiche del 1893 dopo le riforme per l’estensione del diritto di voto volute dalla Sinistra, che cercò anche di combattere l’analfabetismo della stragrande maggioranza della popolazione. A seguito della legge Coppino del 1879 che aveva reso obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, anche Lainate fu invitata ad aumentare il numero delle classi; ma il Comune rifiutò nonostante i ripetuti inviti dall’alto, mantenendo le già esistenti sei classi elementari, di cui quattro nel capoluogo, una a Barbaiana e una a Passirana, per complessivi 425 alunni. Perché tanta reticenza? II Consiglio Comunale osteggiava il Governo di Sinistra, non ne capiva e condivideva le scelte o effettivamente a Roma non si comprendevano i problemi delle singole comunità?
Erano anni in cui le epidemie le infezioni erano ancora un grave problema, se il Comune dovette affrontare a più riprese ingenti spese per vaccinazioni straordinarie e per suffumigi ai vaiolosi e ai difterici e per la cure di bambini con la tigna.

La vita era sempre regolata dai ritmi dell’agricoltura e gli anni in cui i raccolti erano magri vedevano la reazione dei poveri contadini, la cui miseria si contrapponeva in maniera stridente al benessere dei nobili latifondisti, rappresentati a Lainate dal barone Ignazio Weil Weiss, che nel 1872 era subentrato ai Litta Arese con l’acquisto di quasi tutto il paese, cosa che gli permise di poter aggiungere al proprio cognome la denominazione “di Lainate”, a conferma della sue italianità nonostante la sua origine veronese e dunque austriaca. I contadini avevano imparato ad usare l’arma dello sciopero e ne fecero uso nel 1883 e nel 1889 quando il parroco Don Gaetano Garzoli intervenne per calmare gli animi e per intercedere a favore dei coloni. Il Barone si difese ricordando di aver anche provveduto a distribuzioni gratuite di farina in occasione del fallito raccolto del 1879, alla costruzione di nuove abitazioni e al restauro di vecchie e all’impianto di due stabilimenti, l’uno di maglierie e l’altro di telerie, tutto sempre a favore dei suoi coloni e degli abitanti di Lainate.

Quando poi nel maggio del 1898 scoppiarono a Milano i disordini duramente repressi dal Bava Beccaris, il Comune deliberò di abolire provvisoriamente il dazio sul pane e sulle farine, per poi ripristinarlo, destinandolo infine a favore della nuova società di mutuo soccorso sulla mortalità del bestiame.
E, poiché si constato l’impossibilita di attuare un insegnamento pratico dell’agricoltura nelle scuole del Comune, si organizzarono conferenze agrarie per gli insegnanti. In paese era allora praticata anche la risicoltura se il Consiglio Comunale nel 1899 rifiutava di accettare le modificazioni del regolamento relative alla coltura del rive nella provincia di Milano che, imponendo di distanziare le risaie dai cascinali e dai centri abitati, ne avrebbero praticamente proibita la coltivazione a Lainate.

Anche se il nostro continuava ad essere un comune prevalentemente agricolo, già vi si intravedevano comunque alcune realtà industriali: quelle impiantate dal Barone cui abbiamo precedentemente accennato e quella cui fa riferimento la delibera n. 123 26.3.1888 del Consiglio Comunale dove, relativamente alle imposte dell’anno 1882, si parla di una ditta con filatoio e incannatoio in Barbaiana di proprietà del sig. Schulthey. Si trattava comunque di attività in qualche modo legate alla gelsibachicoltura, ampiamente diffusa nel territorio.
Un divertente spaccato di vita quotidiana dell’epoca si ha rileggendo le pratiche relative al reclamo presentato nel 1880 dal sig. Ernesto Diotti contro l’Amministrazione Comunale che, avendo concesso al barone Weil Weiss di delimitare la sue proprietà con alberi piantati in piazza Litta, secondo il Diotti veniva a ledere il suo diritto di passaggio. La disputa continuò per anni e venne risolta solo nel 1885 quando il sopralluogo di un esperto della Provincia di Milano pose fine alla questione, anche grazie alla testimonianza di alcuni “individui fra i più vecchi del paese, e cioè i nominati Perini Giovanni falegname, altre volte rappresentante del fu signor Vitali già proprietario della casa posseduta dal signor Diotti, Conti Giovanni fu Carlo d’anni 56, Rezzonico Pietro fu Giuseppe d ‘anni 69 e Cecchetta Gio: Battista fu Domenico d’anni 78”. Il Perini dichiaro di aver sempre pagato dal 1849 al 1872 “nel giorno di San Martino, per ordine del suo padrone Vitali, al Signor Scotti Carlo rappresentante della Casa Litta n ° 2 capponi oppure, in mancanza dei capponi, lire milanesi 4 dicendo d’aver sentito dire che questo pagamento era fatto pel passo suindicato”.
La dichiarazione fu confermata dagli altri testimoni e “finalmente un tal Ferrario Giovanni fu Leopoldo d ‘anni 52, che da più di trent’anni” lavorava nei servizi stradali del Comune, dichiarò che “in quella porzione di terreno trovavansi gelsi e carpini di proprietà Litta e che il passaggio che metteva alle case Litta e Vitali non fu mai tenuto in manutenzione dal Comune”.

L’anno dopo comunque alla piazza della dispute fu cambiato il nome con quello di Piazza Vittorio Emanuele II che conserva anche oggi, mentre il nome di Via Litta fu assegnato alla ex Via Garbagnate.

Nell’ultimo ventennio del secolo il Comune effettuò tutta una serie di interventi nel campo dell’edilizia pubblica: su richiesta del parroco si completò il campanile della Chiesa parrocchiale, che doveva servire per battere le ore, per indicare l’orario d’inizio e di fine delle lezioni, per convocare il Consiglio Comunale, per indicare la chiusura serale dei pubblici esercizi e per richiamare la popolazione in caso d’incendio; fu riparata la torre campanaria del Santuario; fu istituito un ufficio postale dandone incarico di commesso al farmacista e, successivamente, un ufficio telegrafico .
Si provvide anche all’impianto d’illuminazione e quindi alla assunzione come “accenditori” di Primo Della Foglia per i tredici fanali di Lainate, di Carlo Grassi per i quattro fanali di Barbaiana e di Luigi Radaelli per i tre fanali di Passirana .
Oggi rimpiangiamo ritmi e vantaggi della società contadina di un tempo, dimenticandone la miseria, la fatica, le malattie e i pericoli rappresentati anche dagli incendi che, in estate soprattutto, si scatenavano dai fienili. Proprio gli incendi scoppiati nelle notti del 17 e 30 giugno e del 1° luglio 1894 spinsero la popolazione a presentare all’Amministrazione Comunale un regolamento, allo scopo di rendere più efficaci gli interventi in casi simili, e il Consiglio provvide a bandire un concorso per il reclutamento di otto pompieri per Lainate, tre per Passirana e tre per Barbaiana, oltre a un certo numero di aiutanti.
In quegli anni Lainate ebbe anche il suo eroe: il 24 aprile 1898 un bimbo di 7 anni, Luigi Pedrotti, caduto nel pozzo di piazza Maggiore (l’attuale piazza Dante), fu salvato dalla prontezza di spirito e dal coraggio del muratore Giuseppe Bosoni di 28 anni, che fu insignito di medaglia d’oro al valor civile per essersi calato nel pozzo, in cui l’acqua era profondissima a causa delle infiltrazioni del Canale Villoresi.
L’Amministrazione aveva a suo tempo approvato la costruzione del Canale, ma nel 1881 aveva chiesto alla società concessionaria che il tracciato passasse, anzichè a mezzogiorno, a nord dell’abitato, al fine di avere un pubblico lavatoio e acqua pronta in caso d’incendio. Costruito il canale ed immessavi l’acqua, il livello dei pozzi aumentò di circa tre metri e le cantine si allagarono, per cui il Comune invitò il Consorzio Villoresi a provvedere, temendo eventuali epidemie dato che oltr’Alpe si erano già verificati casi di colera. II problema si sarebbe ripresentato nel 1903, quando le infiltrazioni crearono difficoltà per la sepoltura dei morti e resero inservibili le cantine, dove l’acqua raggiungeva il metro e mezzo; si pretese allora che la Società Italiana per le Condotte d’Acqua provvedesse al rivestimento completo in cemento del letto del Canale e si decise di chiudere il famoso pozzo di piazza Maggiore, per sostituirlo con una “tromba”.

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Ultimo aggiornamento: 17/07/2023, 12:58

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