I Borromeo

Cos'è

L’esaltante periodo delle lotte per l’autonomia comunale e il terribile momento delle guerre contro il potere imperiale avevano portato a uno stato di tensione permanente, che fece sentire l’esigenza di un governo forte e potente: nacque in questo modo anche a Milano, in seguito alla vittoria sui Della Torre, la Signoria dei Visconti, legittimata in Principato nel 1395 quando Gian Galeazzo ottenne dall’Imperatore il titolo di Duca.

Fu proprio Gian Galeazzo a promuovere la costruzione del Duomo di Milano che vide anche un lainatese impegnato nell’arduo lavoro: la notizia ci giunge grazie alla richiesta di un prestito presentata da costui e registrata presso l’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

Esauritasi la dinastia dei Visconti, Francesco Sforza nel 1450 si impossessò del Ducato di Milano e immaginiamo quale entusiasmo dovette suscitare la visita pastorale che suo fratello Gabriele, Arcivescovo di Milano, fece alla Pieve di Nerviano il 18 agosto 1455, quando a Lainate la chiesa di Santa Maria e San Vittore (titolo questo che rimase sino al secolo XVI) era già parrocchiale e parroco era Anselmo Crivelli.

Pochi sono i documenti che possono illuminarci riguardo alla vita della Lainate di quegli anni: si tratta per lo più di contratti d’affitto che mostrano come a poco a poco i Borromei si insediarono nel territorio per diventarne finalmente i feudatari.
Il 12 dicembre 1430 il notaio Andreolo de Osnago redige l’atto con cui l’Ospedale Maggiore di Milano affitta, per la somma di lire 80 imperiali, al Conte Vitaliano Borromeo beni e possedimenti della Cascina della Pagliera e il notaio Franceschino Reina, in data 27 novembre 1444, registra il pagamento di lire 80 a saldo dell’affitto di alcuni beni della Pagliera da parte di Andreolo Borromeo.

Proprio a Lainate nella Canonica della chiesa di S. Maria e S. Pietro, alla presenza come testimone insieme ad altri di Franzio Volpe di Lainate, venne stipulato il 22 dicembre 1468 il contralto di investiture a favore dei Conti Giovanni e Vitaliano Borromeo per tutti i beni posseduti dal Monastero di Sant’Ambrogio di Milano che, come tutti i monasteri, si distingueva per l’importo dei patrimoni ottenuti per via di donazioni. Il 20 marzo 1470 i conti Giovanni e Vitaliano Borromeo “con nuova investitura feudale” giurano fedeltà al duca Galeazzo Maria Sforza ed alla duchessa Bona, ottenendo conferma dei privilegi feudali per i luoghi di Lainate.

Quando poi il cardinale Pietro Riario, nipote di Papa Sisto IV, divenne abate del Monastero di S. Ambrogio di Milano, concesse a Giovanni Borromeo l’enfiteusi perpetua della “possessione” che il Monastero deteneva ad Origgio “tanto più che essa si trova vicino ad alcune altre tue possessioni”.
I delegati del Conte e quelli del Monastero si radunarono nella chiesa di Santa Maria in Origgio il 5 novembre 1473 per ascoltare la comunicazione che il notaio Pietro Paolo De Giochis doveva dare del fatto: era presente in qualità di amministratore e procuratore dei conti Borromei, Francesco di Isela, figlio di Paolo, abitante a Lainate, e al termine della riunione nella sue case fu poi concluso un altro affare.
Il 22 aprile 1479 Bartolomeo Pagano registra la promessa e l’impegno di Alessandro Volpi di saldare ai Borromei la somma di Lire 200 per l’affitto dell’osteria del paese.
Risulta comunque che i possedimenti dei fratelli feudatari del luogo nel 1479 ammontavano a circa 13.881 pertiche stimate per un valve di circa 77.260 lire.
Molte comunque dovevano essere le persone che in un modo o nell’altro a Lainate dipendevano da questa famiglia: il 20 maggio 1506 per esempio Ludovico Visconti Borromeo dichiarava di aver ricevuto da “Lorenzo Vimercato suo fattore” il pagamento dei fitti dovutigli.

Iniziava per Lainate un legame molto particolare con i Borromei e non deve stupire il fatto che i cognomi presentino differenti desinenze (Borromeo, Bonromei, etc.) perchè bisogna tenere presente che anticamente venivano regolarmente declinati, per cui li troviamo al singolare e al plurale, ma anche al maschile e al femminile.
Tutta l’antichità è caratterizzata dalla differenza tra persone libere e persone che non lo sono, in quanto schiavi, prima, o servi legati a un signore, poi. Dopo il X secolo questa differenza si attenua e la servitù è meno sentita, anche se la povera gente continua ad alienare la libertà personale pur di ottenere protezione.

Quella di Lainate era una terra in cui la Signoria era di tipo rurale, con il “pagus” e i suoi “vici”, quei villaggi in cui vivevano persone generalmente libere: artigiani, piccoli commercianti e contadini. La gente viveva del prodotto del proprio lavoro, del frutto di quei campi coltivati a fatica, dato che l’aratro pesante, la ferratura degli zoccoli e un nuovo tipo di bardatura per il cavallo, che permisero di coltivare più agevolmente la terra, furono introdotti solo con la rivoluzione agricola che si ebbe intorno all’anno 1000. La giornata iniziava all’alba e finiva al tramonto, seguendo i ritmi del sole e delle stagioni: gli uomini e i figli lavoravano la terra, badavano agli animali, tagliavano la legna; le donne, quando non aiutavano nei campi o al pascolo, si occupavano dei lavori domestici, raccoglievano ghiande e frutti selvatici, filavano e tessevano.

Quella di Lainate era una terra in cui la Signoria era di tipo rurale, con il “pagus” e i suoi “vici”, quei villaggi in cui vivevano persone generalmente libere: artigiani, piccoli commercianti e contadini. La gente viveva del prodotto del proprio lavoro, del frutto di quei campi coltivati a fatica, dato che l’aratro pesante, la ferratura degli zoccoli e un nuovo tipo di bardatura per il cavallo, che permisero di coltivare più agevolmente la terra, furono introdotti solo con la rivoluzione agricola che si ebbe intorno all’anno 1000. La giornata iniziava all’alba e finiva al tramonto, seguendo i ritmi del sole e delle stagioni: gli uomini e i figli lavoravano la terra, badavano agli animali, tagliavano la legna; le donne, quando non aiutavano nei campi o al pascolo, si occupavano dei lavori domestici, raccoglievano ghiande e frutti selvatici, filavano e tessevano.

Era una società ad economia agricola, con un limitato commercio locale basato sul baratto delle merci. Gli scambi avvenivano raramente, in occasione di mercati o fiere, a cui i mercanti si recavano con grave pericolo per sè e per le proprie mercanzie, perchè le strade erano poche e insicure ed era facile essere assaliti dai briganti. In questo quadro statico e non ancora articolato della attività economica la vera ricchezza era rappresentata dalla terra: a Lainate doveva esserci un certo numero di allodieri, cioè liberi proprietari, e, come abbiamo visto, alcuni grandi proprietari milanesi, come il Monastero di S. Ambrogio o l’Ospedale Maggiore che, grazie all’istituto di origine feudale di cedere ad altri dietro pagamento o in cambio di un giuramento di fedeltà l’uso di terre, potevano concederle in beneficio o addirittura in proprietà.

Nel momento in cui i Borromeo ricevono l’investitura per i beni di Lainate ne divengono Signori a tutti gli effetti e con il giuramento di fedeltà ottengono per questi luoghi conferma dei privilegi feudali, cioè della possibilità di esercitare di fatto poteri pubblici che non sarebbero loro spettati di diritto e che trascendono quelli del semplice proprietario terriero.

Ciò significa che i Borromeo a Lainate potevano riscuotere tasse sul trasporto delle merci o in occasione di matrimoni o di morti; così come potevano esercitare il controllo dei diritti d’uso di quella parte di territorio che, in quanto proprietà del villaggio, era a disposizione di tutta la comunità e avere il monopolio nella costruzione del mulino e del frantoio per concederli in uso a pagamento ai coloni, a cui era vietato costruirli.
Inoltre notevole parte della popolazione diventava in pratica di stato servile con obblighi ereditari, per cui anche i figli sarebbero poi stati servi, mentre i liberi coloni, pur mantenendo la libertà personale, sarebbero rimasti per sempre legati alla terra su cui erano nati: per tutti era comunque impossibile cambiare ceto e condizione, anche se fra i servi si stabilivano delle differenze e gli uomini di fiducia del signore divenivano “servi domestici” con incarico di gerente del mulino, del frantoio o dell’osteria.
Poco o niente cambiò in realtà per gli abitanti che passavano, come la terra, da un proprietario all’altro e che probabilmente già dovevano prestare questi servizi al Monastero di S. Ambrogio e all’Ospedale Maggiore; ma non abbiamo documenti che ne parlino così chiaramente come il giuramento di fedeltà agli Sforza dei conti (cioè “comites”, compagni d’arme del potente) Giovanni e Vitaliano Borromeo.

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Ultimo aggiornamento: 17/07/2023, 12:41

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